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Reinhold Messner: Amo Segantini, la sua luce fa brillare le montagne

Posted on August 21, 2019 by FASHIONISLANDBLOG

Intervista a Reinhold Messner in occasione della conferenza, del 12 dicembre scorso al centro culturale svizzero di Milano, promossa dalla Fondazione Antonio Mazzotta per riportare le opere di Giovanni Segantini a Milano. Intervista di Simonetta Radice.

Riportare Giovanni Segantini a Milano: è l’ambizioso progetto a cui sta lavorando la Fondazione Mazzotta, impegnata nell’organizzazione di una grande esposizione di opere dell’artista, prevista a Milano per l’autunno 2014.

In preparazione a questo evento, il centro culturale svizzero di Milano ospita una serie di conferenze con l’obiettivo di illustrare il ruolo e le atmosfere dell’ambiente alpino in relazione con la cultura e le arti. Reinhold Messner è stato l’ospite d’onore dell’incontro tenutosi il 12 dicembre scorso, e ha dialogato con lo storico Luigi Zanzi e la curatrice della mostra Diana Segantini. Parlando di arte e di cultura Messner ha raccontato l’esperienza dei Messner Mountain Museum: un progetto da lui fortemente voluto per raccontare l’avventura e l’incontro tra l’uomo e la montagna (sull’argomento, appena uscito per Skirà il volume “Messner Tracks” a cura di Reinhold Messner, Paolo Zanzi e Luigi Zanzi).

“Dobbiamo riempire la nostra vita di entusiasmo” ha detto il grande alpinista “Perché è il dono più importante che abbiamo. E la gioia di aver lavorato e realizzato al progetto dei musei è pari per me a quella di aver salito un Ottomila, perché raccontare un’avventura è esso stesso avventura.” Noi lo abbiamo intervistato poco prima della conferenza, per parlare di arte, di montagna e del suo legame con Giovanni Segantini.

Reinhold Messner, Segantini cercava nelle Alpi la risposta alla vita soffocante e repressiva delle città: si può pensare a un rapporto città montagna che non sia di contrapposizione ma di scambio?
Certo, è possibile, ma la relazione dell’uomo con la montagna, nella storia, è cambiata molte volte e nell’ultimo periodo lo ha fatto radicalmente. La montagna, oggi, viene usata dal cittadino soprattutto come un “playground of sport”, che è ancora diverso dal “playground of Europe” del secolo scorso. Lo stesso alpinismo vira da una parte sempre di più verso lo sport, verso la prestazione fisica, e dall’altra verso il turismo, a danno dell’alpinismo tradizionale che, se non è del tutto sparito, poco ci manca… Segantini invece aveva un occhio particolare per chi viveva in montagna, per i montanari che conducevano una quotidianità dura, fatta di silenzi e solitudine. Con le sue opere Segantini fa capire che l’esistenza lassù era molto diversa da quella del cittadino e proprio nel rappresentare questo aspetto stava la sua grande forza. Segantini, infatti, non era alpinista, non aveva alcun interesse a salire le montagne ma era affascinato dalle persone che abitavano sotto le alte cime. Nei suoi quadri le montagne sono sempre in secondo piano, sullo sfondo, mentre in primo piano ci sono gli uomini e a me Segantini interessa soprattutto come montanaro, perché io non sono soltanto un alpinista, anzi: oggi mi sento addirittura più montanaro che alpinista. Se avessi i mezzi per comprare un Segantini, che comunque non è più sul mercato, lo inserirei nel museo dedicato ai popoli della montagna. Ho un suo schizzo in uno dei miei musei a Bolzano, uno studio fatto per preparare un grande quadro, ma non lo userei per raccontare la storia dell’alpinismo.

Nei quadri di Segantini ricorrono spesso scene legate al mondo agricolo. L’agricoltura di montagna, in un tempo di crisi come questo sta riuscendo a mantenere la sua identità?
L’agricoltura di montagna in Italia purtroppo è crollata. Da noi, nel Sud Tirolo, resiste sia perché abbiamo la legge del maso chiuso, sia per le sovvenzioni ricevute a favore dei contadini di montagna, ma nel resto dell’Italia sopravvive pochissimo e con grande fatica. Negli anni Cinquanta il contadino montanaro è sceso nelle fabbriche, con l’idea di una vita meno dura e oggi è troppo costoso risalire in montagna. Qualcuno certo ce la fa. Ci sono ragazzi giovani e coraggiosi che, non trovando lavoro, tornano alle montagne. E’ comunque una scelta molto difficile, soprattutto perché, rispetto a una volta, si è perso molto del know-how, della cultura legata al mondo agricolo ed è necessario un nuovo processo di apprendimento, che parte da capo.

I suoi musei sono un progetto dedicato al racconto dell’incontro tra l’uomo e la montagna. Com’è oggi questo incontro? E’ solo un terreno di svago o c’è maggior consapevolezza / interesse per chi vi si avvicina?
Devo dire che i nostri musei per la maggior parte non sono frequentati da alpinisti, perché a loro per lo più non interessano. Oggi gli alpinisti non sembrano avere grande interesse culturale e per la storia. Io già da giovane ero affascinato dalla storia dell’alpinismo, dall’arte, da chi scriveva di montagna o da chi faceva musica. Molti artisti hanno cercato in montagna la propria ispirazione ed è anche attraverso il loro lavoro che io racconto la montagna nei miei musei. I musei raccolgono visitatori da tutto il mondo, persone che non vogliono limitarsi a esibire una serie di performance in montagna o a fare semplice attività fisica ma sono curiose di scoprire che cosa c’è dietro le quinte e non sono nemmeno poche, siamo in effetti contenti dell’affluenza ai musei. Penso che per il nostro turismo alpino – di cui viviamo in buona parte – abbiamo la responsabilità non solo di mantenere alcune aree libere da funivie, strade o rifugi, ma offrire a chi viene dalla città la possibilità di capire le montagne ed entrare nello spirito sia di chi viveva in montagna, sia di chi le montagne le saliva. C’è da dire che oggi, purtroppo, il montanaro e l’alpinista sono molto più lontani di quanto non lo fossero cento anni fa.

In un’intervista qualche tempo fa ha detto che “ogni lavoro fatto con entusiasmo è una preghiera.” Nonostante affermi di non avere gli strumenti per sentire l’aldilà. Che cosa pensa della dimensione spirituale dell’opera di Segantini?
Non so se Segantini fosse o meno molto religioso, anche se a guardare le sue opere si direbbe di sì. Con ogni probabilità, però, seguiva la religiosità della gente locale, sicuramente molto forte: se sei un contadino che vive in Svizzera a 1500 metri di altezza e non sei fedele, non ce la fai. Io cerco di farcela senza fede perché accetto il fatto che noi umani non abbiamo gli strumenti per capire l’aldilà o aggrapparci ad esso. Credo che il divino esista, ma che nessuno di noi ha mai la capacità di poter dire: “ecco, l’ho messo su un quadro”

Da uomo di montagna che cosa ama di più dei quadri di Segantini?
Quello che mi piace di più è la sua capacità di andare oltre il paesaggio e trasmettere per immagini la fatica, la solitudine, anche il freddo che caratterizza la vita dei montanari. E’ una cosa che gli riesce molto bene perché lavora genialmente con la luce, grazie alla tecnica del divisionismo. Mi piacciono i suoi lavori perché nei quadri di Segantini le montagne brillano sempre, esattamente quello che accade in realtà.

Intervista di Simonetta Radice

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